EDICOLA. Il pallone dell’uovo oggi ha cancellato l’eccellenza
IL MESSAGGERO (P. MEI) – È il calcio, è l’Italia: c’è sempre qualcosa (e spesso qualcuno) che fa andare il pallone e il Paese nello stesso verso. Ed è quasi la simbolica faccia del calcio rispetto a una certa Italia che stenta a farsi nuova, a programmare, meglio l’uovo oggi, e l’uovo del calcio è d’oro per certuni, e chissenefrega di tutto il resto.
Di rinnovare, di guardare a un qualche modello positivo spuntato magari in Spagna o perfino nel piccolo Belgio, lasciando stare i “maestri” inglesi. Gli ultimi due mondiali, quello in Sudafrica e quello in Brasile, avevano visto l’Italia tornare a casa con le orecchie a mezz’asta, la coda fra le gambe, ritenuta non degna neppure dei pomodori che accolsero il ritorno dei tecnici (non quello degli “eroi”) di Italia-Germania 4-3, Rivera e Mazzola, sei minuti per il golden boy.
Erano segnali chiarissimi gli ultimi due mondiali, tanto più che i gironi da cui la Nazionale venne eliminata non erano neppure “di ferro”. Ma come sono stati colti da chi di dovere? Con lo spirito di Maria Antonietta: il popolo ha fame non c’è pane? Che mangino delle brioches. Il calcio di casa nostra, e cosa loro, ha avuto modo solo di pensare all’uovo oggi dei diritti tv; di lavarsi l’anima della regolarità introducendo il Var, quasi ad aprire gli occhi (per poi anche socchiuderli) sull’area di rigore, e invece tenerli sbarrati su tutto quello che accade nel mondo intorno, dal guardiolismo al fenomeno Spagna, al piccolo grande Belgio, che ha vinto poco ma ha costruito campioni.
Non si cerchi il capro espiatorio: questo non c’è. I pastori, piuttosto. La Svezia non è quella del trio Gre-No-Li, Gren, Nordhal e Liedholm, che fece grande anche il Milan, e neppure quella di Ibrahimovic. E’ che l’Italia è quella che è, e non più quella che era. E lo “stellone” può capitare che guardi da un’altra parte: a lui non importa dei milioni della tv, dei palinsesti da riempire, delle poltrone da dividersi e occupare da “buoni amici”.