ANNO ZEROCAMPIONATOTOP

ANNO ZERO di Paolo MARCACCI

Tempo di un tempo che non trascorre mai, che apparentemente cambia le facce e la cornice attorno; ma è solo un trascorrere che non intacca ciò che resiste: noi saremo sempre noi, loro saranno loro; per fortuna di entrambi, diremo tutti. Perché quel po’ di Roma com’era esiste ancora, e resiste, proprio quando i fischi degli uni coprono i canti degli altri, e viceversa.

Perché ci si arriva, come sempre, facendo appello al modo in cui si sono sfottuti i padri, i nonni e i bisnonni; sono come orchidee fiorite all’uscita da un bar, le geniali prese per il culo del prima e del dopo, perché il punto di vista degli uni come degli alte sarà sempre l’unico dei mondi possibili ed è per questo che non basteranno cento Lulic per fare un Balzaretti, per quanto ci riguarda. Chi non è d’accordo è laziale, semplicemente, quindi naviga in un emisfero dove è notte quando da noi è giorno, anzi pomeriggio presto, come quando una gradinata scrisse “TI AMO”, insegnando a Romeo e Giulietta, a Paolo e Francesca un Amore più assoluto del loro, più indissolubile ancora. Quel giorno si ricorda anche un gol di Pruzzo, perché c’è sempre un gol, a punteggiare i ricordi, a rammentare come eravamo vestiti e quanti soldi avessimo in tasca; quanti capelli avevamo in testa e le rughe attorno agli occhi. È solo il cuore che non cambia mai, perché è come se scendessero in campo tutti assieme: Losi, Santarini, Cordova, Di Bartolomei, Totti, Delvecchio, Balbo, Montella, Brunoconti – tutto attaccato – Giannini e De Rossi; così i loro, certo, allo stesso modo o giù di lì, salvo squalifiche e retrocessioni, ma con lo stesso sentimento e con la medesima convinzione che tutto è un segno, che ogni stato d’animo della settimana è stato una chiaroveggenza, che pure se sbuca Yanga Mbiwa di testa io in qualche modo l’avevo previsto, ero certo come Marco Cassetti quando se ne andò di corsa come un pazzo, scavalcando i cartelloni, perché non era soltanto un’esultanza: era riscossione d’immortalità calcistica; ogni volta un ratto delle Sabine, quando li batti con chi non s’aspettavano.

Ora però è quasi finito il tempo dell’attesa, sta per cominciare la nostra ennesima prima volta: perché non avremo mai esperienza sufficiente per dire che sappiamo come ci si senta. Tanto vale farselo spiegare dai bambini, il derby, perché solo loro hanno lo stesso sorriso che tante di quelle volte, come fosse per sempre, ha avuto dopo un gol Francesco Totti.

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