di Paolo MARCACCI – Se ci avessero chiesto, alla mezz’ora del primo tempo, cosa fosse stato fino a quel momento il vantaggio del Chelsea realizzato da David Luiz, avremmo risposto: – Un dettaglio -, quasi per nulla in sintonia con ciò che si era visto sin dall’inizio della gara. Una Roma accorta ma per nulla intimorita ha cominciato coprendo benissimo il campo e generando la prima, autentica occasione da rete con Perotti: alto di poco sopra la traversa il suo destro, dopo un’autorevolissima serpentina durante la quale ha anche resistitoa un fallo. Altre due saranno le occasioni che capiteranno sui piedi del numero 8 giallorosso e in entrambi i casi, purtroppo, a Perotti manca la spietatezza del killer. Spietata è invece, appena può, la prima linea del Chelsea, nel capitalizzare gli errori compiuti dalla Roma in fase di possesso, soprattutto quelli di Bruno Peres che innesca la ripartenza da cui nasce il raddoppio di Hazard. È troppo ingiusto il 2 – 0 prima del minuto 40 e, come aggravante, fa baluginare lo spettro di una nuova imbarcata in ambito europeo, dopo i precedenti che ben conosciamo. Poi accade, subito dopo, che Kolarov abbia la faccia e gli attributi ideali per incarnare il ruolo del duro che inizia a giocare quando si fa duro il gioco stesso: si inventa l’incursione da sinistra, butta il pallone avanti tra Cahill e Azpilicueta, si ripresenta all’appuntamento dopo una sontuosa progressione al termine della quale fa secco Courtois, con leggera deviazione di Christensen che pareggia il conto con quella con cui Fazio aveva corretto la traiettoriadell’assist di Morata in occasione del raddoppio londinese.
Va al riposo una Roma corta e gagliarda, solo un po’ disattenta – ma la Champions non lo consente – e sciupona; mirabile il lavoro di Edin Dzeko, con la clava e col cesello, dalla trequarti in su; ordinato e rapido di pensiero l’inatteso Gerson, schierato sul fronte offensivo; metodico e razionale Gonalons in un centrocampo più lucido che nel recente passato e meno in affanno in fase di non possesso.
La ripresa comincia con le medesime formazioni, anche se il riscaldamento intenso di Florenzi fa pensare a un suo subentro nella fase decisiva del match.
Lo Stanford Bridge rumoreggia per le incertezze dei suoi; il canto incessante del settore romanista commuove anche chi è rimasto nella Capitale.
Al minuto 51 batte di sinistro Strootman, con deviazione in angolo: gli uomini di Di Francesco continuano a crederci, anche perché ancora non si percepisce quell’arrembaggio con cui credevamo che il Chelsea si sarebbe ripresentato sul suo verdissimo tappeto. Va al tiro pure Gerson, da sinistra: alto, ma intimorisce la gradinata londinese, ancora una volta.
La Roma macina gioco e insiste nel cercare l’incursione, soprattutto da sinistra, nell’area avversaria. Non è corretto dire che i giallorossi meriterebbero il pari, perché avevano cominciato a meritare qualcosa di più sin dall’inizio della gara.
Al minuto 57 Conte tira fuori David Luiz (contrariato, per usare un eufemismo), stasera avanzato per necessità, inserendo Pedro.
Nel frattempo, Gerson si muove con sempre maggiore autorevolezza sul lato destro, anche in virtù della stima che percepisce dai compagni: sorpresa positiva, mentre sul suo lato giganteggia Kolarov, sradicando palloni e incutendo timore nei furbastri raccattapalleinglesi.
E poi? Poi il pareggio è un endecasillabo con l’accento finale sotto il settore ospiti: lancio di Fazio da un emisfero all’altro, palla che spiove verso Dzeko il quale si fa ferro e piuma al contempo: battuta al volo da orgasmo multiplo e collettivo, ammucchiata di gioia sotto i vessilli giallorossi.
Il 2 – 3 non possiamo quasi raccontarlo, perché è questione esoterica, in quanto sulla capoccia di Dzeko si condensano le anime calcistiche di Pruzzo, Voeller e Batistuta.
Sono partite che non finiscono mai, queste è nulla deve distrarre la Roma dall’ottimizzazine del tempo, regalando meno palloni possibile, ricordandosi sempre chi si ha di fronte, per quanto non nel suo momento migliore: il 3 – 3 del Chelsea arriva in effetti, con Hazard che rianima uno stadio intero, romanisti a parte, proprio quando i londinesi cominciavano a mostrarsi davvero sulle ginocchia.
Pellegrini per Gerson, nel frattempo; Rüdiger per il timido Zappacosta nel Chelsea. Poi Willian per Hazard, salutato all’uscita come il salvatore della patria.
Dzeko a uno spiffero dal 3 – 4, sotto porta, segno che la Roma crede nel continuare a crederci, che è più di crederci e basta. Non avete capito? Nemmeno noi, perché sono troppe le emozioni di questa serata europea.
Ritmi più bassi negli ultimi minuti; non bisogna dimenticare l’inatteso risultato maturato a Baku nel tardo pomeriggio, perché il girone è lungo e a questo punto molto articolato.
Quattro di recupero, con Florenzi subentrato a Strootman. Lanci lunghi da una parte e dall’altra, poi finisce tra gli applausi alla meravigliosa partita, ma la maggior parte li merita, perdonate il linguaggio colorito, una Roma cazzuta, che ha lo sguardo di Kolarov e le palle di Edin Dzeko.