#AnnoZero. STAMFORD BRIDGE, PROVINCIA DI CURVA SUD
“ANNO ZERO” di Paolo Marcacci – Perché è stata una notte europea da incorniciare, quella dello scorso mercoledì a Londra? Perché è andato in scena l’orgoglio romanista e c’è qualcosa di più persistente delle belle istantanee della gara, del dominio esibito per la maggior parte dei novanta minuti, dell’autorevolezza di Fazio e della lucidità di Gerson, delle geometrie progressivamente lucide di Gonalons, della sontuosa doppietta di Dzeko e del gol di Kolarov – il più importante dei tre, perché riporta la Roma in partita -; se è per questo, tra l’altro, il migliore in assoluto non era “in” ma a bordo campo, perché l’artefice di questa testimonianza di crescita è stato e continuerà a essere Eusebio Di Francesco.
Ma c’è stato, dicevamo, qualcosa di meglio e di più. C’è stata la Roma nella sua essenza primordiale, la rivendicazione di cosa voglia dire appartenere ai colori giallorossi, rivendicarli e farli brillare in faccia al mondo, a qualsiasi mondo. Portare la Roma in petto e alzarla fino al cielo, a Greenwich come sotto qualsiasi altro meridiano. Cantarla, la Roma, fino a far sì che chiunque stesse, ovunque, assistendo alla partita, si sentisse in quel settore ospiti, si sentisse fra i tremila che per tutta la gara hanno testimoniato cosa voglia dire sentirsi un popolo. Alzando la voce ancora di più nel momento più nero e immeritato, vale a dire dopo il primo dei due gol di Hazard.
Non c’era bisogno neppure di pigiare il tasto tramite il telecomando: sono stati i tifosi della Roma ad alzare il volume del nostro orgoglio; somministrando agli inglesi una lezione più perentoria di quella che in campo stavano ricevendo Gli uomini di Conte.
C’è qualcosa di più importante del punto conquistato (o dei due lasciati?) e della classifica del Girone C che ora sorride: c’è che forse abbiamo trovato un antidoto a tutte le nostre divisioni, i nostri settarismi, contrapposizioni, alle eccessivamente numerose “correnti di pensiero” giallorosse; perché ogni volta che vorremo tornare a sentirci unicamente romanisti, tutti insieme, non avremo che da ascoltare l’audio di ciò che per novanta e più minuti ha soffiato nel vento di Stanford Bridge, provincia di Curva Sud.